La Leggenda di Vittore e Corona   nei Codici del medioevo


InUnum Ensemble







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Tactus TC220002

2021
[53:04]








1. Vittore soldato martire  [6:29]
0:00   Hic est vere martyr
1:05   Adoremus Christum
3:20   Beatus Victor dixit
3:50   Sebastianus dixit [...] Unde sacrifica
4:40   Ego non sacrifico

2. L'ira di Sebastiano, la mansuetudine di Vittore  [5:06]
0:00   Iratus Sebastianus
0:30   Haec mors non est mors
1:00   Ad celi sublimia   motetus, Codex Las Huelgas, s. XIV   Hu  98
2:35   Sebastianus autem dux
3:05   Praecepit dux

3. Divina volontà e gratitudine santa  [7:48]
0:00   Tunc iussit dux
2:35   Gratias tibi ago
4:45   Benedicite Deo   English carol, 15th c.

4. Martire della gloria  [7:08]
0:00   Iussit autem dux
2:10   Domini est terra
2:45   Gloria laus   hymnus, Teodulfo de Orleans, s. IX

5. Pazienza, tenacia, amore sacrificale  [6:08]
0:00   Tunc iussit dux acetum
2:40   Christi patientia   tropo de Agnus, Codex Las Huelgas, s. XIV   Hu  26
4:10   Tunc iussit dux suspendi

6. Lo strazio della croce, la forza della croce  [6:46]
0:00   Deus excelse
1:55   De la crudel [morte de Cristo]  lauda, Laudario di Cortona, s. XIII
4:30   Onne homo ad alta voce   lauda, Laudario di Cortona, s. XIII

7. Nascita in cielo  [6:30]
0:00   Dixit dux
3:00   Congaudeant catholici   conductus à 3, Codex Calixtinus, s. XII   cc  96

8. Vittore incoronato  [3:55]
0:00   Beatissumus Victor
0:25   Beatus est Victor
0:55   Gratias tibi ago
1:25   Misit Dominus angelum sum
1:45   Beatus Victor orabat
2:15   In caminum ardentem
3:05   Sancte Victor Martyr

9. Nel segno della croce  [3:08]
Crux forma | Cruci Domini | Portare   motetus, Codex Bamberg





InUnum ensemble

Caterina Chiarcos, voce, viella
Elena Modena, voce, arpa gotica, percussioni
Anna Passarini, voce, organistrum
Ilario Gregoletto, organo portativo medievale, flauti diritti, percussioni


InUnum ensemble è sorto nel 2003 per la divulgazione del repertorio medievale, in particolare la produzione polifonica sacra dal xii al xv secolo; fa capo al Centro Studi Claviere di Vittorio Veneto (TV). L’ampia formazione accademica di tutti i componenti include studi compiuti di canto medievale, vocalità funzionale, prassi esecutiva con strumenti antichi, musicologia, paleografia.

L’ensemble si produce abitualmente in area italiana presso luoghi sacri di rilievo artistico e pregnanza spirituale. Fra i programmi, Carols: la danza nel repertorio sacro e cerimoniale del tardo Medioevo; Ave, donna santissima; O quam mirabilis: archetipi sonori nel repertorio monodico e polifonico medievale; Il suono mistico; Monos. Alle radici del canto sacro; Mundi renovatio; Stella coeli. Sete di luce sul mondo.

Fondamentale la ricerca dedicata a Hildegard von Bingen, che ha dato forma ai programmi multimediali, unici nel loro genere, L’invisibile rivelato: il manifestarsi della santità profetica di Ildegarda di Bingen, sulla proiezione integrale delle miniature del Lucca- Kodex (ms. 1942, Biblioteca Statale di Lucca), e Aurea materia, sulla proiezione di miniature dallo Scivias-Kodex (Bingen (d), Abtei St. Hildegard). L’ensemble ha curato in formazione a due la registrazione del CD Divina dulcedo et laudatio, annesso alla stampa degli Atti del Convegno Mistica, Musica e Medicina. Ildegarda fra il suo e il nostro tempo (Vittorio Veneto, 22/23 settembre 2012), e del CD Il canto di Ildegarda (2020).



I testi e maggiori informazioni sono disponibili al seguente link:
Texts and more info are available on our website:
www.tactus.it/testi – Codice / Code: 220002



Strumenti / Instruments

Arpa gotica
Paolo Zerbinatti (San Marco di Mereto di Tomba, Udine)
da iconografie del sec. xiv circa

Organistrum
Paolo Zerbinatti, dal repertorio iconografico scultoreo del Portico de la Gloria,
Cattedrale di Santiago de Compostela (sec. xiii)

Viella a 5 corde (sec. xiv)
Marco Ottone (Velletri, Roma)

Flauto soprano di Gottinga (sec. xiii)
Philipp Bleazey (Lancaster, Lancashire, Inghilterra)

Flauto tenore basso Medioevo
da Rafi, Eugene Ilarionov (Kiev, Ucraina)

Organo portativo in do (sec. xiv)
Francesco Gibellini, (Sassuolo, Modena)
decorato da Ilario Gregoletto

Le fotografie degli strumenti sono disponibili sul sito:
The photos of instruments are available on our website:
www.tactus.it/testi – Codice / Code: 220002











English liner notes









A partire dal xiii secolo circa, con l’estendersi del culto dei santi in Occidente, anche in risposta alla ricerca di figure tangibili di fede che richiamassero al dramma della morte del Cristo incarnato, nuove forme musicali testimoniano una nascente sensibilità. La loro modernità si misura direttamente con la grande tradizione gregoriana, consolidata da oltre cinque secoli, la cui funzione liturgica aveva suggellato ritmi e modi sia del rito solenne, la Messa, sia del culto monastico dell’Ufficio delle Ore. Questa nascente sensibilità, che dà luogo a «creazioni originali, caratteristiche di un’area geografica, di una diocesi, di una istituzione religiosa» (S. Roncroffi, Canto gregoriano e culto dei Santi, in Aa. Vv. Atlante storico della musica nel Medioevo, Milano, Jaka Book, 2011, p. 120), esprime la ricerca di una vicinanza al repertoriomusico-liturgico maggiore di quella consentita dalla specificità testuale ed esecutiva che caratterizza il Gregoriano: come canto scaturito dalle Scritture, in prevalenza veterotestamentarie, ne manteneva la rigorosa osservanza. Pertanto, lo stile su di quelle modellato tendeva a escludere ogni reazione di umana compartecipazione, con il rischio di generare una certa distanza tra i mezzi stessi della contemplazione delle verità di fede e i fedeli.

A tale nascente sensibilità soggiaceva, certo, anche una necessità concreta di catechesi volta ai semplici; dato il grado assai ridotto di alfabetizzazione, i più non erano in grado di accedere alla lettura né all’interpretazione delle Scritture. L’ascolto, insomma, doveva essere sollecitato da figure e forme che risultassero più vicine alla gente comune, e da un genere alla portata di tutti, che, senza sostituirsi alla tradizione, le si affiancasse.

Non va dimenticato che questo processo avviene nella medesima epoca in cui prende vita e rapido sviluppo il culto mariano, propugnatore san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), convincente sostenitore della necessità di intonare e comporre per Maria, soggetto imprescindibile del concreto manifestarsi del mistero trinitario, un canto nuovo. Insieme, Maria e i Santi muovono a un ampliamento del repertorio liturgico-musicale in misura sia dell’estendersi della riflessione teologica sul ruolo tutto al femminile della Vergine Madre entro il progetto salvifico voluto dal Padre sia del sorgere di nuove figure cristianamente esemplari – si pensi a Francesco e Chiara d’Assisi, Antonio da Padova, Domenico di Guzmán – dedicatari di nuovi edifici sacri, ben presto anche oltre gli spazi conventuali loro specifici in quanto fondatori o massimi rappresentanti d’ordini.

Entro il grande alveo dei santi, i martiri offrono le loro drammatiche storie di vita a fondamento del culto delle reliquie, la cui funzione non è solo religiosa e spirituale ma anche sociale e culturale. In effetti, il luogo che del martire conserva le spoglie ha una dimensione valoriale aggiuntiva. Meta condivisa dalla comunità civile ed ecclesiale, luogo di aggregazione al ricorrere della specifica festa calendarizzata, faro orientante a memoria della fede esemplare, il santuario o basilica che del martire porta il nome e conserva le reliquie è puro sangue consacrato in Cristo, da cui sorge la chiesa fortificata per suo tramite. Infine, è tra i simboli più potenti di cui il cristianesimo dispone nella prospettiva temporale presente-passato-futuro e nel mettere in reciproco contatto città e territori diversi ma raccordati dallo stesso nome. Luoghi sacri di spiritualità e d’arte, la cui edificazione e conservazione, affidata anche all’intervento della gente del posto che prestava la sua opera, ne garantiva il riconoscersi entro la propria comunità.

Il genere della historia, pertanto, dovette risultare particolarmente adeguato, tanto più nel caso di un passio, la cui antichità riconduce ai primi sofferti secoli della cristianità. Se una vita imbevuta di santità offre a chi ne legga o ne ascolti spunti certi di riflessione, la morte per martirio sull’esempio del Cristo immolato apre dallo stato contemplativo alla dimensione patetica e mette a sua volta alla prova l’interiorità di chi ne partecipa. Coraggio e forza, pazienza, perseveranza e determinazione sono misura della fede che sostiene il martire; ma testimoniano anche l’inefficacia delle pene inflitte dai persecutori, increduli dinanzi al persistere della vita nel corpo martoriato. La tradizione martirologa è colma di vivide immagini in tal senso, e certo documenta, di là da ogni possibile amplificazione o distorsione dei dati, l’odio che ha colpito i cristiani dei primissimi secoli, un odio non solo religioso ma anche politico e socialmente compensatorio.

Nella memoria collettiva dei fedeli, i martiri rinnovano il nucleo cristologico della fede nella vita immortale. Morire in Cristo significa ri-nascere in Lui; tramite il loro esempio, la chiesa cementa la sua presenza di pari passo all’edificazione dei luoghi di culto. Infine, la narrazione del martirio, che non è mai solo pura cronaca delle torture subite, ma è racconto dettagliato delle ore della pena, fatto di accuse, argomentazioni, confutazioni – fatto di anima, mente, corpo – tocca più corde fra il considerare e il sentire, raggiungendo in pienezza il fedele.

L’estesa Passio di Vittore rientra fra le historiae di martiri dei primi secoli della cristianità, i cui processi sono riportati negli Acta redatti dai proconsoli delle legioni romane. Come Ignazio di Antiochia, Ermacora e Fortunato, Cipriano, Teodoro, nomi fra i più antichi, Barbara, Cecilia, Lucia, Giustina, allora hanno condiviso il martirio soldati al servizio dello stato imperiale e donne, spesso di famiglia altolocata, votate al messaggio di Cristo; padri apostolici della chiesa, anche autori di scritti teologici fondamentali, e soggetti di semplice ruolo sociale. Li caratterizza la difesa a spada tratta della propria scelta, dichiarata e riconfermata durante il processo, che fa del martirio un gesto attivo, senza scampo ma mai passivamente subito. Le atrocità sono pari alle più crudeli vessazioni delle persecuzioni di cui è testimonianza in ogni tempo in merito alle minoranze religiose o etniche: un modo di infierire esclusivo della razza umana contro i suoi simili, che nasconde profonde tensioni d’ordine sociale, politico, economico. Spesso, infatti, la persecuzione è una strategia di governo per distrarre le masse, offrendo loro un’immagine gratificante di efficientismo contro il nemico di turno.

Nel Passio Corona è quasi una personificazione della Sapienza. Numerose le fonti scritturali cui Lei fa riferimento nel paragonare Vittore a diversi personaggi biblici che lo precedettero in scelte spirituali e prove fisiche di grande coraggio, sino a quella estrema del martirio: fra questi, Abele, i Padri Abramo e Giacobbe, suo figlio Giuseppe, Giobbe, i profeti Isaia e Samuele, i tre giovani gettati nella fornace da Nabucodonosor. Infine, la sapienza di Vittore, da cui la pazienza che gli permette di contrastare vincente le fallaci provocazioni del demonio, è paragonata a quella del re Salomone. La scelta del martirio emerge già dalle prime dichiarazioni di Stefania al dux: «Christiana sum […] «Ego Stefanae vocor quae est corona recondita ob hoc non sacrifico, ut accipiam Dei coronam» (BCV, ms. XCV, c. 58, 202; 216-218).

Mi chiamo Stefania/Corona; un nome, un simbolo – nomen-omen – in cui è racchiuso il conseguimento della prova più dura. In effetti, nella dinamica spirituale della coppia, l’incoronazione di Vittore sta alla vittoria di Corona, in un mutuo scambio, figure complementari della stessa vicenda: Vittore, “femminile”, è mite, e all’infierire di Sebastiano contrappone uno studiato argomentare; Corona, “maschile”, è diretta, determinata, piena di coraggio. Vittore subisce la decollazione, dopo aver snervato il carnefice per la mancanza d’efficacia delle pene inflittegli, ben dieci atroci supplizi; Corona, invece,muore smembrata, legata a due palme – l’albero simbolo dei beati – dapprima tese e poi rilasciate. Lui, corpo devastato senza testa, riceve la corona più grande delle due che Stefania vede scendere dal cielo portate da angeli; l’altra corona – recondita, ossia messa in serbo – è per Lei, a segno, come nel rito delle vergini sponsali, della sua unione indissolubile ed eterna con Cristo.

A fronte della redazione medievale più antica (BCV, ms. XCV), il repertorio marciano rappresenta testualmente una drastica sintesi – inclusa l’omissione di tre supplizi: il cibo avvelenato, la perforazione degli occhi, lo scorticamento; mentre la tortura delle lampade incandescenti ai fianchi non viene associata all’appensione all’eculeo, sicché risultano due momenti distinti pur errati in senso logico – sintesi certo funzionale ai tempi richiesti dalla celebrazione liturgica, incluse le numerose intonazioni salmodiche prescritte. La presenza di Corona sta nella breve acclamazione a martirio compiuto di Vittore: Beatus es, Victor, et beata opera tua sancta; ma nel martirio di Lui – cogis me diversas tibi penas imprimere, dichiara Sebastiano misurandosi con la tenacia di Vittore – rientra la morte di Lei, prefigurata in quelle stesse parole.

I Vespri di san Vittore, che questo CD propone come prima esecuzione in tempi moderni, rientrano in uno dei Registri che costituiscono gli Antifonari Marciani (in ambitomusicologico VAM), redatti fra il xiii e il xiv secolo ad uso della liturgia cantata nella Basilica di san Marco. Il corpus di cinque libri progressivamente numerati dal 114 al 118, siglati come psm de Supra (Procuratori de Supra), Chiesa, Registri, conservati all’Archivio di Stato in Venezia, segue l’annuale calendario liturgico a partire dalla prima domenica d’Avvento sino alla presentazione di Maria al tempio, e conserva i repertori liturgici del tempo, dei santi e del comune dei santi.

Il repertorio ch’è fulcro di questo CD costituisce un’appendice di VAM 118. Gli originali sono consultabili in formato digitale, in bianco e nero, fortunatamente riversati in microfilm prima del furto che il manoscritto ha subito negli ultimi anni del Novecento, già omessi i folia che nel Libro iv (VAM 117) dovevano riportare per esteso i Vespri di san Vittore. A fronte dello spunto musicologico offerto da Cattin, VAM 118 è stato dunque ripreso, comparando e completandone il lavoro di trascrizione. La notazione, su tetragramma, corrisponde al formato quadrato con ligature diffuso nel basso Medioevo; di generale chiara comprensione, al folio 131 è un’evidente lacuna subito a seguire alla dichiarazione di Vittore come miles magni imperatoris, data dall’interruzione della notazione dopo il passaggio Sebastianus dixit ad beatum Victo[rem]. Tuttavia, confrontando questa sezione musicale con il testo del Passio, non risulta compromesso il senso logico, trattandosi della sezione introduttiva di scambio verbale tra Sebastiano e Vittore, l’uno impugnando l’ordine imperiale di giustiziare tutti coloro che non avessero sacrificato agli dei (ne resta traccia nel frammento … penis et tormentis illos subiacere), l’altro argomentando sulla sua condizione di soldato di Dio. Nell’esimerci dal tentativo di ricostruire quanto omesso, ci ha confortati la congruenza testuale e musicale dell’esecuzione l’uno di seguito all’altro dei passaggi che subito precedono e seguono la lacuna. Infine, qualche erosione e zone d’ombra dovute all’umidità hanno richiesto piccoli interventi di reintegrazione, peraltro ben risolti una volta compreso lo stile compositivo.

Questa incisione presenta l’esecuzione integrale della fonte marciana dei Vespri di san Vittore notata per esteso. Si è scelto di non emendare un evidente errore del copista, relativo alla pena dell’olio bollente: infundi partibus eius occultioribus in BCV, ms. XCV, c. 56, 119-120; infundi per partes corporis eius occulti oneribus in VAM 118 (In III Nocturno, Antifona).

A commento di alcuni punti salienti del Passio, sono stati inseriti, tenendo fede alla logica del testo: due delle dodici intonazioni salmodiche prescritte nel repertorio, come cenno alla prassi esecutiva che alternava il canto dell’antifona alla cantillazione dei salmi; tre brani monodici (un inno gregoriano, due laudi); cinque polifonici (in forma di carol, conductus, motetus, tropus) da fonti europee di matrice inglese, spagnola, tedesca. Tutti i brani rimandano a un’epoca fra l’viii e il xv secolo, e ben rispondono allo svolgersi della leggenda, di cui colgono alcuni spunti chiave. Procedendo in ordine di esecuzione, Ad celi sublima prefigura la vita che, nella prospettiva cristologica, non è morte ma vera vita: eterna gioia, vittoria di humilitas, madre di ogni virtù, presenza lucente di Dio; Benedicite Deo anticipa e sviluppa l’affermazione di Vittore: «Ego unum deum adoro, qui fecit celum et terram mare et omnia que in eis sunt», cantata come versetto d’apertura In laudibus; Gloria laus riprende, sostituendosi, l’intonazione salmodica sul tema del Cristo/Signore Re di gloria, il cui trionfo, che preannuncia la vittoria del martirio, si celebra la Domenica delle Palme; Christi patientia celebra il Cristo immolato, proprio a seguire alla prova del bere aceto misto a calce cui Vittore è sottoposto; De la crudel e Onne homo sono immani affreschi corali di potente emozionalità: al pianto del primo segue il tono d’esortazione del secondo, e in entrambi si avverte anche la presenza di Maria madre alla croce, anticipazione a sua volta dell’acclamazione di Corona, nel secondo versetto In laudibus; Congaudeant catholici celebra l’adesione alla fede suscitata in molti alla vista del sacrificio di Vittore, trasposto per analogia dal repertorio dedicato a Giacomo maggiore, martire deposto a Compostela; Crux forma / Cruci Domini / Portare, infine, glorifica la croce simbolo di vera sempiterna vita.

Per chiudere, pur senza pretese di aver integralmente ricostruito la liturgia minore per san Vittore cantata in san Marco nel basso Medioevo, questa produzione ne offre un excursus narrativo compiuto: incentrato sulla fonte marciana a Lui intitolata, grazie ai diversi inserti in vario stile ne amplia il respiro e fa della vicenda una historia ben oltre la memoria locale, veneziana o veneta che si intenda.

Elena Modena









Approximately from the thirteenth century onward, as the cult for the saints spread over theWest, also as a response to the quest for tangible figures of faith that might recall the drama of the death of the incarnate Christ, new musical forms bore witness to an emerging sensitivity. Their modernity competed directly with the great Gregorian tradition, which had been firmly established for more than five centuries, and whose liturgical function had fixed the rhythms and modes both of the solemn rite, Mass, and of the monastic cult of the Office of Hours. This emerging sensitivity, which gave rise to “original creations that were typical of a geographic area, a diocese, or a religious institution” (S. Roncroffi, Canto gregoriano e culto dei Santi, in Aa. Vv. Atlante storico della musica nel Medioevo, Milano, Jaka Book, 2011, p. 120), expressed the search for a greater closeness to the liturgical repertoire than that allowed by the Gregorian chant’s specific characteristics of text and performance: as a singing that sprang from the Scriptures, chiefly the Old Testament, Gregorian chant preserved its strict observance. So the style moulded on the Scriptures tended to exclude any reaction of human sympathy, with the risk of generating a certain distance between these means of contemplation of the truths of faith and the faithful themselves.

Undoubtedly a concrete need also underlay this emerging sensitivity: that of a catechesis suitable for simple people. Because of the very low diffusion of literacy, most people could not read or interpret the Scriptures. Listening had to be stimulated by figures and forms that were closer to the common people, and by a genre that was within everybody’s reach and was added to tradition without replacing it.

We must not forget that this process took place during the same period in which the cult of the Virgin Mary was born and developed quickly, advocated by St. Bernard of Clairvaux (1090-1153), who very persuasively asserted the need to compose new songs for Mary, as an essential element in the concrete manifestation of the mystery of the Trinity. Together, Mary and the Saints were the driving force behind an enlargement of the liturgical and musical repertoire that was linked not only to the broadening of the theological study of the entirely feminine role of the Virgin Mary within the salvation project willed by the Father, but also to the rise of new exemplary Christian figures, such as Francis and Clare of Assisi, Anthony of Padua and Domingo de Guzmán, who became the dedicatees of new sacred buildings, soon exceeding the convent spaces that specifically belonged to them as founders or main representatives of their orders.

Within the vast sphere of the saints, martyrs offer their dramatic life stories as a basis for the cult of relics, whose function is not only religious and spiritual, but also social and cultural. In actual fact, a place that preserves the remains of a martyr has an additional importance and value. A sanctuary or basilica that is named after a martyr and preserves his relics, besides being a goal that is shared by the civil and ecclesiastical community and a beacon that directs people to faith and reminds them of it, is pure blood consecrated in Christ, from which the church, fortified through him, arises. Lastly, it is one of the most powerful symbols available to Christianity in the present-past-future time perspective and in the interconnection of different cities and territories that share the same name. The latter were sacred places of spirituality and art, and their building and preservation, entrusted also to the active participation of local people, ensured their recognition within their own community.

It seems likely, therefore, that the historia genre turned out to be particularly adequate, even more so in the case of a Passio, whose ancientness brings us back to the earliest, tormented centuries of Christianity. If a life imbued with holiness undoubtedly gives the reader or listener food for thought, death through martyrdom following the example of Christ’s sacrifice paves the way from a state of contemplation to a pathetic dimension, putting to the test, in turn, the inward life of those who are involved. Courage, strength, patience, perseverance and determination are a measure of the faith that supports the martyr; but they also testify to the ineffectiveness of the punishments inflicted by the persecutors, who are astonished by the persistence of life in the tortured body. The martyrology tradition is full of vivid images of this sort, and undoubtedly testifies, beyond any possible exaggeration or distortion, to the hatred that was directed to the Christians during the earliest centuries, a hatred that was not only religious, but also political and socially compensational.

In the collective memory of the faithful, martyrs renew the Christological core of faith in immortal life. To die in Christ means to be re-born in Him; through the martyrs’ example, the Church cements its presence, keeping pace with the building of places of cult. Lastly, the narration of the martyrdom, which is never a mere chronicle of the tortures undergone by the martyr, but is a detailed report of the hours of penalty, formed of accusations, arguments, refutations – formed of soul, mind, body – touches several chords on the continuum between considering and feeling, and fully reaches the faithful.

The prolonged Passio of Victor belongs to the historiae of martyrs from the earliest centuries of Christianity, whose trials are reported in the Acta drawn up by the proconsuls of the Roman legions. Along with Ignatius of Antiocha, Hermagoras and Fortunatus, Cyprian, Theodore, among the most ancient names, Barbara, Cecilia, Lucy, Justina, at that time martyrdom was shared by soldiers in the service of the imperial state and by women, often from high-ranking families, who were devoted to Christ’s message; by apostolic fathers of the Church who were also the authors of fundamental theological writings; and by subjects with a lowly social role. These martyrs were characterised by a passionate defence of their own choice, which was declared and confirmed by them during their trial, turning martyrdom into an active gesture, with no way out but never undergone passively. The atrocities were equal to the cruellest persecutions of all time inflicted on religious or ethnic minorities: a cruelty against fellow creatures that appears only in the human race and disguises deep tensions of a social, political and economic nature. In many cases, persecution was a strategy of the government meant to distract the masses, offering a gratifying image of efficiency against the current enemy.

In the Passio, Corona is almost an embodiment of Wisdom. There are many scriptural sources to which she refers when comparing Victor to several biblical personages who preceded him in highly courageous spiritual choices and physical trials, down to the extreme one of martyrdom: among them, Abel, the Fathers Abraham and Jacob, the latter’s son Joseph, Job, the prophets Isaiah and Samuel, and the three young men thrown into a furnace by Nebuchadnezzar. Lastly, Victor’s wisdom, to which he owes the patience that makes it possible for him to contrast and defeat the devil’s deceptive provocations, is compared to that of King Solomon. The choice of martyrdom emerges since Stefania’s first declarations to the dux: “Christiana sum […] Ego Stefanae vocor quae est corona recondita ob hoc non sacrifico, ut accipiam Dei coronam” (BCV, ms. XCV, c. 58, 202; 216-218).

My name is Stefania/Corona; a name, a symbol – nomen-omen – that contains the passing of the hardest of tests. In actual fact, within the spiritual dynamics of the couple, Victor’s crowning is symmetrical to Corona’s victory, in a mutual exchange, since they are complementary figures in the same story: the “feminine” Victor is mild, and opposes pondered arguments to Sebastian’s cruelty, while the “masculine” Corona is direct, determined and full of courage. Victor undergoes beheading, after having unnerved his executioner with the inefficiency of the torments inflicted on him, no less than ten atrocious tortures. Corona is killed by being dismembered, tied to two palm trees – this tree is a symbol of the blessed souls – that are first drawn together, then released. He, a devastated, headless body, receives the greater crown of the two that Stefania sees carried down from the sky by angels; the other crown – recondita, that is prepared for her – is a mark, as in the rite of the nuptial virgins, of her eternal, indissoluble union with Christ.

Compared with the earliest medieval version (BCV, ms. XCV), the repertoire in St. Mark’s Basilica is a drastic shortening of the text, including the omission of three tortures: the poisoned food, the perforation of Victor’s eyes and the flaying, while the torture of the incandescent lamps on his hips is not associated to his being hung on a rack, so the two tortures turn out to be distinct moments, though this is a mistake from a logical point of view. The shortening of the text was undoubtedly determined by the requirements of the time available for the liturgical celebration, including the numerous psalmodic chants that were prescribed. The presence of Corona is marked by the short acclamation after the completion of Victor’s martyrdom: Beatus es, Victor, et beata opera tua sancta; but in his martyrdom – cogis me diversas tibi penas imprimere, Sebastian declares while pitting his strength against Victor’s tenacity – her death is also included, prefigured by those same words.

The Vespers of St. Victor, that this CD presents for the first time in the modern age, are included in one of the Registers that form the Antiphonaries of St. Mark’s Basilica (called VAM in the musicological milieu) and were drawn up between the thirteenth century and the fourteenth for the sung liturgy in St. Mark’s Basilica. The corpus of five books, numbered from 114 to 118 and indicated as psm de Supra (Procuratori de Supra), Chiesa, Registri, preserved in the State Archives of Venice, follows the yearly liturgical calendar from the first Advent Sunday to the presentation of Mary at the Temple, and preserves the liturgical repertoires of the time, of the saints and of the common of the saints.

The repertoire on which the CD is based, is an appendix to VAM 118. The originals can be consulted in digital format, in black and white: they had fortunately been copied in microfilm before the theft of the manuscript during the last years of the twentieth century, with the folia in Book iv (VAM 117) that were supposed to entirely reproduce the Vespers of St. Victor already omitted. So, following the musicological suggestion offered by Cattin, VAM 118 was taken up again, comparing and completing the transcription work. The notation, on a four-line stave, corresponds to the square format with ligature that was widespread in the late Middle Ages; as a rule is it easily understood; in folio 131 there is an evident gap right after Victor’s declaration as a miles magni imperatoris, marked by the interruption of the notation after the passage Sebastianus dixit ad beatum Victo[rem]. However, if we compare this musical section with the text of the Passio, the logical meaning is not disrupted, since it is the introductive section of the verbal exchange between Sebastian and Victor, in which the former was brandishing the imperial order to execute all those who did not offer sacrifices to the gods (a trace of this is left in the fragment … penis et tormentis illos subiacere), while the latter argued on his own condition as a soldier of God. As we gave up the attempt to reconstruct what had been omitted, we were comforted by the textual and musical consistency of the performance, in succession, of the passages that precede and follow the gap. Lastly, a few erosions and shadows due to humidity made it necessary to perform small integrations, which in any case were satisfactorily carried out once we had understood the style of composition.

This recording presents a complete performance of the Vespers of St. Victor from St. Mark’s Basilica’s source, in full notation. We have decided not to emend an obvious mistake of the copyist in a sentence relevant to the boiling-oil torture: infundi partibus eius occultioribus in BCV, ms. XCV, c. 56, 119-120; infundi per partes corporis eius occulti oneribus in VAM 118 (In III Nocturno, Antifona).

Remaining faithful to the logic of the texts, we have added the following pieces as a comment to some salient points of the Passio: two of the twelve psalmodic chants prescribed in the repertoires, as a tribute to the performance practice of alternating the singing of the antiphon with the cantillation of the psalms; three monodic pieces (a Gregorian hymn and two laudi); and five polyphonic pieces (in the forms of carol, conductus, motetus and tropus) from European sources of English, Spanish and German origin. All the pieces are from a period between the eighth century and the fifteenth, and correspond aptly to the course of the legend, catching some of its key points. In order of performance, Ad celi sublima foreshadows the life that in the Christological perspective is not death but true life: eternal joy, triumph of humilitas as the mother of all virtues, and shining presence of God; Benedicite Deo anticipates and develops Victor’s assertion: “Ego unum deum adoro, qui fecit celum et terra mare et omnia que in eis sunt”, sung as an opening versicle in the morning praises; Gloria laus resumes and replaces the psalmodic chant on the theme of Christ/Lord of glory, whose triumph, which heralds the victory of martyrdom, is celebrated on Palm Sunday; Christi patientia celebrates the immolated Christ right after the trial of drinking vinegar mixed with lime to which Victor has been subjected; De la crudel and Onne homo are grand, powerfully stirring choral frescoes: the weeping of the former is followed by the exhortation of the latter, and in both the presence of the Virgin Mary near the cross is also felt and anticipates the acclamation of Corona in the second versicle of the morning praises; Congaudeant catholici celebrates the acceptance of faith inspired in many people by the sight of Victor’s sacrifice, transposed by analogy from the repertoire dedicated to St. James the Greater, the martyr whose remains were placed in Compostela; lastly, Crux forma / Cruci Domini / Portare, glorifies the cross as a symbol of true, everlasting life.

In conclusion, though this production does not claim to have integrally reconstructed the minor liturgy for St. Victor that was sung in St. Mark’s Basilica during the late Middle Ages, it does offer a complete narrative excursus: it is based on the source dedicated to St. Victor in St. Mark’s Basilica, and broadens the latter’s outlook with its various additions in different styles, turning the story into a historia and extending its breadth well beyond the local memory, whether it be referred to Venice or to Veneto.

Elena Modena